LE FERIE NON GODUTE DEVONO ESSERE MONETIZZATE ANCHE IN CASO DI DIMISSIONI VOLONTARIE DEL LAVORATORE.

AD AFFERMARLO E’ LA CORTE DI GIUSTIZA DELL’UNIONE EUROPEA.

a cura di AVV. ENRICO ANTONIO CLEOPAZZO*

La materia della monetizzazione (o, meglio, del divieto di monetizzazione) delle ferie non godute è regolata, nell’ordinamento italiano, dall’art. 5 del decreto legge 95/2012 varato nell’ottica della spending review (convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 135/2012) il quale, rubricato «Riduzione di spese delle pubbliche amministrazioni», al comma 8 stabilisce che, nell’ambito del pubblico impiego, le ferie, i riposi e i permessi spettanti devono essere obbligatoriamente goduti secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti e la loro mancata fruizione «in nessun caso» dà luogo alla corresponsione di trattamenti economici sostitutivi. E’ inoltre espressamente disposto che detto trattamento si applichi «anche in caso di cessazione del rapporto di lavoro per mobilità, dimissioni, risoluzione, pensionamento e raggiungimento del limite di età».

Nel 2016 la Corte Costituzionale (cui era stato rimesso il fascicolo della causa promossa dal un medico cui era stata negata la monetizzazione delle ferie non godute per malattia) si era pronunciata ritenendo la suddetta norma conforme alla carta costituzionale poiché riguarda casi «in cui la cessazione del rapporto di lavoro è riconducibile a una scelta o a un comportamento del lavoratore (dimissioni, risoluzione) o ad eventi (mobilità, pensionamento, raggiungimento dei limiti di età), che comunque consentano di pianificare per tempo la fruizione delle ferie e di attuare il necessario contemperamento delle scelte organizzative del datore di lavoro con le preferenze manifestate dal lavoratore in merito al periodo di godimento delle ferie» (Corte Costituzionale sentenza n. 95/2016).

Un dipendente di un Comune della provincia di Lecce, tuttavia, ha impugnato il provvedimento col quale gli è stata negata la monetizzazione delle ferie non godute perché dimessosi volontariamente per accedere al pensionamento anticipato.

Il Tribunale di Lecce ha quindi investito della questione la Corte di Giustizia della Comunità Europea che, con una recente pronuncia, ha affermato che la normativa italiana – asseritamente giustificata solo da ragioni di contenimento della spesa pubblica – si pone in contrasto con l’art. 7 della direttiva europea 2003/88 sull’organizzazione dell’orario di lavoro e viola l’art. 31, par. 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, che sancisce e disciplina il diritto alle ferie annuali retribuite.

La Corte di Lussemburgo ha chiarito che non ha alcuna rilevanza la causa estintiva del rapporto di lavoro per cui la circostanza che essa sia dipesa dalla volontà del lavoratore non incide in alcun modo sul suo diritto a percepire un’indennità finanziaria per le ferie annuali retribuite non godute.

Invertendo l’onere della prova previsto dalla normativa italiana secondo cui è il lavoratore a dover dimostrare di non aver potuto godere delle ferie prima del congedo, la Corte europea ha viceversa sottolineato gli obblighi propri del datore di lavoro che deve «assicurarsi concretamente e in piena trasparenza che il lavoratore sia effettivamente in grado di fruire delle ferie annuali retribuite, invitandolo, se necessario formalmente, a farlo, e nel contempo informandolo – in modo accurato e in tempo utile a garantire che tali ferie siano ancora idonee ad apportare all’interessato il riposo e il relax cui esse sono volte a contribuire – del fatto che, se egli non ne fruisce, tali ferie andranno perse al termine del periodo di riferimento o di un periodo di riporto autorizzato».

La sentenza è particolarmente importante perché ribalta radicalmente l’assetto normativo italiano sulla materia e l’Amministrazione non potrà più sottrarsi all’obbligo di monetizzare le ferie non godute. Il lavoratore che dovesse ricevere simile diniego ha oggi tutti gli strumenti per far valer i propri diritti.

*Avvocato Convenzionato con ASSODIPRO

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