L’ISCRIZIONE ALL’ORDINE DEGLI INFERMIERI MILITARI: UN PAPOCCHIO ISTITUZIONALE

di Antonio Gentile

QUANDO SONO I VERTICI A CREARE IL PROBLEMA

 

La querelle che si sta vivendo sulla questione dell’iscrizione all’Ordine da parte degli Infermieri militari ha superato i confini del comparto ed investito l’opinione pubblica italiana.

Una situazione tanto più assurda se si considera che le norme sono di una chiarezza disarmante; la legge 11 gennaio 2018, n. 3 parla chiaro:

  • per l’esercizio di ciascuna professione sanitaria, compreso l’infermiere in qualunque forma giuridica svolto, anche in regime di dipendenza pubblica, è necessaria l’iscrizione al rispettivo albo;
  • la quota di iscrizione è a carico del professionista.

Ad onor del vero, l’obbligatorietà all’iscrizione anche da parte dei pubblici dipendenti era evidente anche in precedenza, in quanto già prevista dalla legge 1 febbraio 2006, n. 43.

Nel momento in cui è apparso in tutta la sua interezza che non era più possibile tergiversare su una questione così importante, sono iniziati i veti incrociati tra: alcuni infermieri militari che ritenevano che il pagamento della quota di iscrizione dovesse essere a carico dell’Amministrazione; gli Organi del comparto preposti a dare una risposta definitiva dopo che per anni avevano nicchiato; e alcuni Organi di rappresentanza militare che si sono tuffati nel dibattito. Una discussione elefantiaca si sta tenendo all’interno ed all’esterno della professione infermieristica, con il rischio di mandare in frantumi il già fragile equilibrio di una professione che fa parte di un comparto particolarmente delicato.

La confusione che si è venuta a creare ha radici lontane. C’è stata da sempre una discussione interna tra chi riteneva che l’iscrizione fosse obbligatoria e chi riteneva questo obbligo non condivisibile; con il risultato che circa il 70% degli infermieri militari, malgrado le incertezze, si sono iscritti negli anni ed oggi risultano inseriti negli Albi degli Ordini Professioni infermieristiche (OPI) provinciali.

I PROVVEDIMENTI INEFFICACI DEL PASSATO

Solo con l’entrata in vigore della legge 43/06, con cui veniva ulteriormente chiarito l’obbligatorietà dell’iscrizione, il Ministero della Difesa, Direzione Generale della Sanità Militare (DIGESAN), investito dalle richieste di chiarimenti che provenivano anche dalla base, con una circolare sibillina, dell’11 aprile 2011, ha chiuso in un primo tempo la vicenda ritenendo che: “…l’obbligo di iscrizione all’ordine professionale… non sembra possa trovare applicazione anche nei confronti del personale infermieristico…”.

Inoltre, la suddetta Direzione si è espressa con la considerazione discutibile di ritenere che ci fosse la necessità di disciplinare prima la questione a livello militare, attraverso l’emanazione di disposizioni tecnico attuative. Come se una norma di legge possa rimanere in sospeso fino a che gli Uffici preposti non emanano disposizioni.

IN ATTESA DI UN PRONUNCIAMENTO DEFINITIVO

La questione è rimasta nel limbo fino a quando, con l’entrata in vigore della legge 3/2018 con cui sono stati costituiti gli Ordini delle professioni sanitarie, non è stato più possibile tergiversare sulla faccenda dell’iscrizione ad essi. Dopo le numerose accuse lanciate da varie parti attraverso gli organi di informazione, che hanno additato la Sanità Militare di impiegare personale infermieristico non iscritto all’Ordine, con il rischio di denuncia per abuso della professione e l’annullamento degli atti sanitari da essi effettuati, il I reparto Personale dello Stato Maggiore della Difesa, il 14 febbraio 2019, ha emanato una circolare al riguardo. Ancora la questione è aperta in quanto il problema è stato rimandato al Ministero della Difesa per non meglio specificati provvedimenti legislativi.

Intanto, è sparita la necessità di disciplinare prima la questione a livello militare attraverso l’emanazione di disposizioni tecnico attuative che inizialmente DIGESAN aveva contemplato.

È importante considerare i seguenti aspetti trattati nella Circolare per capire la querelle dei giorni nostri:

  1. la disciplina nel passato;
  2. considerazioni del problema;
  3. proposta per la soluzione.

Ad eccezione dell’indubbio obbligo di iscrizione che viene finalmente recepito, l’analisi fatta appare confutabile e argomentata con considerazioni grossolanamente inesatte.

L’indagine che si fa in questo articolo ha lo scopo di cercare di capire la situazione attuale, per dare un contributo fattivo alla soluzione di un problema avvitato su se stesso, che rischia di portare a dei provvedimenti tampone che possono essere peggiori della falla.

  1. LA DISCIPLINA NEL PASSATO

Per quel che riguarda la disciplina delle professioni sanitarie nel passato, SMD fa riferimento al Decreto Legislativo del Capo Provvisorio dello Stato, n. 233 del 13 settembre 1946 e alla Legge 43/2006.

Le considerazioni fatte al riguardo sono incomplete o errate:

  1. è sbagliato considerare le disposizioni previste nel D. Lgs 233/1946 che riguardavano i sanitari impiegati nella pubblica Amministrazione che potevano essere iscritti all’Albo professionale limitatamente all’esercizio della libera professione. Tale provvedimento non è applicabile agli infermieri in quanto rivolto ad altre figure professionali. Infatti, sempre nello stesso decreto, all’art. 27, le norme relative alla disciplina professionale dell’attività infermieristica venivano rimandate a un provvedimento separato.
  2. non è corretta l’interpretazione che la legge n. 43 del 2006 non può essere applicata nella parte in cui prevede l’obbligatorietà dell’iscrizione all’albo professionale per tutti i pubblici dipendenti (art. 2 comma 3), in quanto, si afferma, essere in attesa di decreti successivi per l’istituzione degli ordini professionali (art. 4).

Se SMD, si fosse premurato di ricercare le interpellanze parlamentari e i pronunciamenti espressi in merito dagli Organi preposti a dirimere i dubbi sulle interpretazioni delle leggi dello Stato, avrebbe scoperto che numerosi pronunciamenti riguardanti l’obbligo dell’iscrizione ai Collegi/Ordini professionali erano già stati espressi in passato:

  • Nel 2014, il sottosegretario alla Salute Paolo Fadda, rispondendo ad una interrogazione parlamentare sulla sentenza della Corte di Cassazione (6491/2009) circa l’eventuale non obbligatorietà di iscrizione agli albi, ribadiva la volontà del legislatore in merito alla L. 43/06 nel senso di obbligo all’iscrizione anche per i pubblici dipendenti sin dall’entrata in vigore della legge.
  • Il Ministero del Lavoro, della Salute e delle politiche Sociali, in un nota inviata alla Federazione IPASVI nel gennaio 2009, aveva sottolineato che, in base alla legge 43/06, l’iscrizione all’Albo era obbligatorio anche nell’ambito del rapporto di servizio in regime di lavoratore dipendente.
  • Ancor prima della L. 43/06, si era espresso sin dal 2002 la Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie affermando che l’esercizio della professione sanitaria di infermiere presupponeva l’iscrizione al rispettivo Collegio, sia come libera professione che come lavoro dipendente.
  • Vi è poi il D. M. del Ministero della Sanità n. 749/94 che all’art. 1 individua la figura professionale del’Infermiere che, con il titolo abilitante e l’iscrizione all’albo, è responsabile dell’assistenza generale infermieristica.
  • In base all’ultimo documento analizzato, ma non ultimo tra quelli esistenti nella legislazione ai fini delle considerazioni sin qui fatte, il DPR 220/01 in cui viene fissato come requisito di ammissione ai concorsi per il personale sanitario non dirigenziale, l’iscrizione all’albo professionale.

Quindi, l’interpretazione fatta da SMD nell’ambito della legge 43/06 “disposizioni in materia di professioni sanitarie infermieristiche… e delega al Governo per l’istituzione dei relativi ordini professionali” è sbagliata. L’estenzione dell’obbligo di iscrizione dei pubblici dipendenti, infatti, è scritto al comma 3 dell’articolo 2 ove sono riportati i requisiti per l’esercizio della professione e non nell’articolo 4 ove è prevista la delega al Governo per la trasformazione dei Collegi in Ordini. Pertanto, solo l’art. 4 della legge 43/06 è l’unica parte della legge inapplicabile.

Ci si sarebbe aspettato, da parte di un Organo di così elevato livello, chiamato a dirimere la questione oramai incancrenita e non più sopportabile dell’obbligatorietà o meno dell’iscrizione agli albi per gli Infermieri militari, che non si fosse soffermato solo su non meglio specificate interpretazioni discordanti, ma avesse seguito le procedure necessarie per chiedere, ancora una volta, al Legislatore, se l’avesse ritenuto necessario, quali fossero state le Sue reali intenzioni nella promulgazione della legge. Se ciò fosse stato fatto, probabilmente, ad oggi, non ci sarebbero tanti Infermieri militari non iscritti che rischiano una denuncia per abuso della professione e il rischio della paralisi del Sistema salute militare.

  1. CONSIDERAZIONI DEL PROBLEMA

Lo Stato Maggiore della Difesa con la circolare 2/2019, nell’approfondita analisi fatta per dirimere l’annosa questione sin qui trattata, (Lettera SMD ISCRIZIONE MARZO 2019 obbligatorietà) investe il Ministero della Difesa affinché adotti apposite iniziative risolutive; chiede allo stesso Ministero di porre a carico dell’Amministrazione le quote di iscrizione/rinnovo agli albi competenti in base alle considerazione fatte sul D. Lgs. 233/1946, tenendo conto della specificità del personale delle Forze Armate.

Fermo restando che il D. Lgs 233/1946 non si può applicare all’infermiere come già detto in precedenza, per quel che riguarda le considerazioni sulla specificità sono stati fatti errori di valutazione sui doveri dell’Infermiere Militare e commesse inesattezze per quel che riguarda l’arruolamento degli Infermieri militari.

Nel voler dare forza alla considerazione sulla specificità, SMD afferma che: l’Infermiere Militare, è sì tenuto al corretto svolgimento dei compiti connessi alla specifica professione ma è, ancor prima, un militare con doveri legati al proprio status. Con questa affermazione si fa un confronto tra il senso etico e morale che deve guidare il “cittadino militare” e il senso etico e morale che deve avere il “cittadino infermiere militare” nell’assolvimento dei compiti istituzionalmente assegnatogli. Se non fosse sufficiente il buonsenso a far immaginare che l’Infermiere Militare non può scegliere quale ruolo prediligere nel momento in cui si trova a svolgere la propria attività assistenziale nei confronti del paziente militare o civile, vi sono le norme che lo chiariscono.

Parlando di doveri, la sua componente militare lo pone soggetto a particolare disciplina, a doveri e responsabilità previste dalla Costituzione, definite dalla legge e riportate nel Regolamento di Disciplina Militare. Invece, La componente sanitaria di Infermiere lo pone soggetto a doveri e responsabilità previste dalla Costituzione, definite dalla legge e riportate nel Codice Deontologico dell’Infermiere.

Nel Codice dell’Ordinamento Militare (D. Lgs. 66/2010), tra le funzioni del Servizio sanitario militare, quella principale è la tutela della salute dei militari. Per assicurare tale fondamentale compito, all’art. 212, viene riconosciuto al personale delle professioni sanitarie infermieristiche autonomia professionale nell’ambito di specifiche funzioni in conformità di quanto previsto dalla legge 43/2006. Inoltre, al personale infermieristico è attribuita la diretta responsabilità e gestione delle attività di assistenza infermieristica e delle connesse funzioni. Anche se non specificato, come per gli Ufficiali medici che “…uniscono alle peculiari doti professionali tutte le più spiccate virtù militari…” (art. 209), anche per gli Infermieri Militari vale lo stesso principio. Non è possibile discernere i due ruoli, non è eticamente possibile dare la precedenza a quello militare rispetto a quello sanitario. Il campo di attività e di responsabilità dell’Infermiere, come per il medico, è determinato, oltre che dai contenuti dei relativi profili professionali e dagli ordinamenti didattici, dai specifici Codici Deontologici. L’articolo 8 del Codice Deontologico dell’Infermiere appare dirimente per eventuali conflitti ingenerati da diverse visioni etiche in quanto specifica che: non si arroga la presunzione che il dovere dell’infermiere possa essere prioritario rispetto ad altre visioni; bensì lo spinge a trovare soluzioni attraverso il dialogo. Qualora persistesse una richiesta di attività in contrasto con i principi etici della professione e con i propri valori, l’Infermiere si avvale della clausola di coscienza, facendosi garante delle prestazioni necessarie per l’incolumità e la vita dell’assistito.

Si potrebbe aggiungere, considerando sia i doveri militari che quelli sanitari, che, al fine di garantire la vita umana ed assolvere ai compiti istituzionali delle Forze Armate, l’Infermiere militare si impegna ad operare con fedeltà, con disciplina ed onore, con senso di responsabilità e consapevole partecipazione, senza risparmio di energie fisiche, morali ed intellettuali affrontando, se necessario, anche il rischio di sacrificare la vita.

Il tema è sicuramente di grande valore e meritevole di approfondimenti con il contributo di esperti in materia; la cosa sicura è che non si possono fare considerazioni affrettate e superficiali su un argomento così delicato e importante per la collettività. L’infermiere Militare che possa dare precedenza allo status di militare o possa dare precedenza allo status di Infermiere non è un buon Infermiere Militare.

Altro aspetto meritevole di riflessione è quello preso in considerazione riguardo il reclutamento degli infermieri militari. Ebbene, un evidente errore è stato fatto nel momento in cui si dichiara che tale personale venga ancora tratto dal concorso per Marescialli e poi avviato alla formazione universitaria a spese dell’Amministrazione. In realtà, da tre anni, il personale sanitario viene reclutato attraverso concorsi a Nomina Diretta, ciò vuol dire che anche gli Infermieri vengono reclutati con il possesso della laurea in infermieristica conseguita non a spese dell’Amministrazione.

Ritornando al discorso per cui vengono fatti i riferimenti al D. Lgs 233/1946, alla specificità dell’Infermiere Militare e alla Formazione a carico dell’Amministrazione, essendo queste considerazioni errate o non più corrispondenti alla realtà, l’iscrizione all’albo non può costituire onere riconducibile alla Difesa come diretta conseguenza dell’attività formativa preordinata all’impiego.

  1. PROPOSTA PER LA SOLUZIONE

In ultima analisi, l’aspetto che più sta a cuore e preoccupa la professione, in un’ottica di risoluzione del problema, sono i provvedimenti legislativi che possono essere presi per portare a conclusione la faccenda. Quello che SMD propone al Gabinetto del Ministro della Difesa e all’Ufficio Legislativo del Ministero della Difesa, in un’ottica di medio lungo periodo, è di avviare apposita modifica normativa volta ad includere il personale militare nei rispettivi albi degli ordini professionali, limitatamente al militare che esercita l’attività nell’ambito delle strutture sanitarie militari ovvero nell’interesse della Difesa. Fermo restando che se si ritiene di voler pagare le quote di iscrizione a carico dell’Amministrazione sarebbe un provvedimento che potrebbe far piacere al personale interessato, il rischio che non bisogna correre è che venga snaturato il principio che il legislatore ha voluto conseguire per fare in modo che tutti i professionisti della salute fossero regolamentati dagli Ordini.

Gli Ordini sono organi sussidiari dello Stato con lo scopo di tutelare gli interessi pubblici connessi all’esercizio professionale. Il legislatore, dopo anni di discussioni e di confronto, ha approvato una legge, la n. 3 del 2018, che ha rappresentato una svolta storica per la Sanità, per i cittadini e per i professionisti che lavorano nel comparto. Il riordino delle professioni sanitarie si regge su un impianto delicato ed equilibrato che ha messo d’accordo, non senza difficoltà, le esigenze dei molteplici attori interessati a dare le migliori risposte ai bisogni di assistenza dei pazienti. Muoversi in questo contesto con provvedimenti che possano incrinare minimamente tale equilibrio, anche solo creando albi speciali, creerebbe danni, oltre che agli Infermieri interessati, agli utenti che a questi professionisti si rivolgono in Patria e nelle Missioni fuori area.

Non si può continuare a navigare a vista, occorre creare un tavolo di lavoro tra veri esperti della Sanità Militare e della Professione infermieristica, motivati a trovare delle soluzioni alle numerose problematiche che li affliggono; scevri da interessi personali, di categoria o di lobby; con il mandato chiaro e inequivocabile di trovare le migliori soluzioni alle problematiche che oggi interessano il Comparto e la Professione. Non si può vivere di continue querelle; quella dell’iscrizione all’ordine è solo uno dei tanti problemi che potrebbero esplodere da un momento all’altro.

La Professione infermieristica ha bisogno di dipanare una volta per tutte le questioni inerenti:

  • gli aspetti tecnici (formazione per l’impiego in Patria e all’estero, protocolli operativi condivisi, assicurazione obbligatoria, equipaggiamento nelle attività assistenziali, personale di supporto, ecc.);
  • l’inquadramento con il giusto riconoscimento del ruolo Ufficiale;
  • l’impiego con il riconoscimento delle competenze acquisite sul campo e tramite i percorsi di studio post laurea.

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