Assodipro in Corte Costituzionale per i Diritti Sindacali dei Militari. Esposizione alla Corte dell’ avv. prof. Andrea Saccucci

  1. In tale ottica, proprio al fine di contenere le attività degli organi rappresentativi all’interno del quadro disciplinare militare, i delegati sono tenuti, ai sensi dell’art. 882 del d.P.R. 90/2010, a rispettare i seguenti divieti: a) formulare pareri e proposte o avanzare richieste e istanze che esulino dalle materie e dai campi di interesse indicati dall’articolo 1478 del codice; b) rilasciare comunicati e dichiarazioni o aderire ad adunanze o svolgere attività di rappresentanza al di fuori degli organi di appartenenza; c) avere rapporti di qualsiasi genere con organismi estranei alle Forze armate, salvo quanto disposto dal libro IV del titolo IX del capo III del codice e dal regolamento; (…) e) promuovere e raccogliere sottoscrizioni ai fini dell’esercizio delle attività di rappresentanza.
  2. Come è evidente, non solo i divieti investono attività paradigmatiche della libertà sindacale, come ad esempio la possibilità di svolgere attività di proselitismo ovvero quella di aderire ad altre organizzazioni sindacali, ma la loro violazione è espressamente qualificata come grave mancanza disciplinare ai sensi dell’art. 751 del d.P.R. n. 90/2010 ed è punibile, dunque, con la consegna semplice e/o di rigore. La sanzione disciplinare scatta anche in tutti i casi in cui il delegato ponga in essere comportamenti contrastanti con le norme di principio sulla disciplina militare contenute nel libro IX del Codice e nel Regolamento.
  3. Un dato ulteriore che denota l’assenza di carattere sindacale degli organismi di rappresentanza emerge dall’art. 887 del d.P.R. n. 90/2010 che, imponendo al militare “il dovere di partecipare alle elezioni della rappresentanza”, gli nega il diritto di libertà negativa di associazione. Anche in assenza di un’espressa previsione nella CEDU, tale diritto è tutelato dalla giurisprudenza di Strasburgo dalla quale emerge chiaramente come il rifiuto di affiliazione sindacale non debba avere conseguenze eccessivamente penalizzanti per il lavoratore (cfr., ex multis, Sigurdur A. Sigurjónsson c. Islanda, sentenza del 30 giugno 1993, § 35). La disciplina italiana considera, invece, l’inosservanza delle disposizioni in materia di attività rappresentative – tra cui, quindi, anche quella relativa all’elezione dei rappresentanti in seno ai vari organi – come una grave mancanza disciplinare punibile, ai sensi del citato art. 751 del medesimo d.P.R., addirittura con la consegna di rigore (equivalente ad una misura restrittiva della libertà personale!).
  4. Se si guarda, poi, alle competenze degli organi di rappresentanza, si nota subito che essi svolgono funzioni prevalentemente consultive e propositive che, certamente, non investono l’intero ventaglio delle problematiche che possono sorgere in seno all’istituzione militare (si pensi, in modo particolare, al contenzioso ed alle rivendicazioni di carattere retributivo).
  5. Ma vi è di più. Nessuno spazio di tutela è riservato al diritto di contrattazione collettiva, diritto pacificamente riconosciuto dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e dal Comitato europeo dei diritti sociali come uno degli elementi essenziali della libertà sindacale (cfr. supra §§ IV.b e V).
  6. L’art. 3 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 (recante “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”) esclude, infatti, espressamente il personale militare dall’ambito di applicazione soggettiva delle norme ivi contenute in materia di contrattazione collettiva in seno alle Pubbliche Amministrazioni. Nelle intenzioni del legislatore, tale esclusione sarebbe controbilanciata dalla specifica procedura di concertazione in seno alle Forze armate, disciplinata dal d.lgs. 12 maggio 1995, n. 195, successivamente modificato dal d.gs. 31 marzo 2000, n. 129, che si concretizza in una serie di incontri fra una delegazione di parte pubblica (costituita da rappresentanti dei vari ministeri), i Capi di Stato maggiore (relativamente alle figure lavorative per le quali si sta negoziando) e la delegazione dei lavoratori (ossia il CoCeR).
  7. La partecipazione degli organi di rappresentanza alla fase di concertazione, che precede l’emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica, si realizza soltanto all’interno della delegazione del Ministero della difesa e degli altri ministeri competenti e, inoltre, la normativa in questione non introduce un reale confronto tra le parti, ma una semplice consultazione. I CoCeR, infatti, non hanno alcun reale potere negoziale – diversamente rispetto a quanto accade in seno alla Polizia di Stato – ma soltanto un ruolo consultivo. Gli organi di rappresentanza (ai sensi dell’art. 7 del d.lgs. n. 195/1995) possono unicamente esprimere pareri o proporre modifiche a degli schemi di provvedimento che vengono loro proposti. La loro approvazione non è neppure necessaria, tanto è vero che il mancato raggiungimento di un accordo fa sì che, in luogo di un atto bilaterale, venga adottato un mero atto unilaterale da parte dei Comandanti Generali o dal Capo di Stato maggiore.
  8. Il potere di concertazione incontra peraltro un limite significativo quanto al suo ambito di applicazione ratione materiae: le tematiche oggetto di negoziazione sono, infatti, esclusivamente quelle delineate dagli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 195/1995. Correlativamente, alle rappresentanze militari è del tutto preclusa la possibilità di occuparsi di questioni inerenti l’ordinamento, l’addestramento, le operazioni, il settore logistico-operativo, il rapporto gerarchico-funzionale e l’impiego del personale. In altri termini, viene meno il confronto sindacale su questioni che costituiscono l’essenza stessa dei corpi militari.
  9. In ragione di quanto sopra e alla luce del consolidato orientamento della Corte europea dei diritti dell’uomo e del Comitato europeo dei diritti sociali, è evidente che gli organismi di rappresentanza, a dispetto di quanto apoditticamente sostenuto dal giudice di prime cure, non sono in alcun modo in grado di “rappresentare e difendere, nelle sedi istituzionali, le aspirazioni, le esigenze, le proposte comunque connesse con gli interessi collettivi delle singole categorie”.

Per quanto sopra esposto, si chiede l’accoglimento delle conclusioni rassegnate nell’atto di costituzione del presente giudizio costituzionale.

        Avv. Prof. Andrea Saccucci

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