Empatia tra leadership , neuroni specchio e babbuini : quali possibilità ? di Massimiliano Salce

Risultati sperimentali  su osservazioni di alcune emozioni primarie ci dicono sorprendentemente che quando osserviamo negli altri una manifestazione di dolore o di disgusto, si attiva il medesimo substrato neuronale collegato alla percezione in prima persona dello stesso tipo di emozione.

Tant’è per comprenderne ancor più il senso , la scoperta dei neuroni specchio potrebbe offrire una spiegazione biologica per almeno alcune forme di autismo, come, ad esempio, la sindrome di Asperger: in effetti, gli esperimenti finora condotti in tal senso sembrerebbero indicare un ridotto funzionamento di questo tipo di neuroni nei bambini autistici.

Il lettore più attento avrà intuito inoltre  una implicazione di più grande portata.

L’esistenza dei neuroni specchio coinvolge e modifica le  attuali concezioni riguardanti il modo di operare della nostra mente, implica cioè un drastico ridimensionamento del modello di mente normalmente operante ,  quello basato sul paradigma del computer :  elaborazione di un dato in ingresso e relativa risposta.

Il leader non dovrebbe quindi essere dotato tanto di capacità di ragionamento computerizzate , quanto piuttosto essere capace di “sentire” dentro , attivandosi queste strutture.

Va detto che non tutti gli neuroscienziati sono concordi nell’accettare la presunta esistenza di questa particolare forma di neuroni.

Ma come accennato  anche il riconoscimento delle emozioni sembra basato su strutture neurali che, per quanto differenti, condividono quella proprietà “specchio” già rilevata nel caso della comprensione delle azioni.

E la conferma viene da altrettanto sorprendenti studi  su pazienti affetti da patologie neurologiche: una volta perduta la capacità di provare un’emozione non si è più in grado di riconoscerla quando viene espressa da altri.

Ricordando allora quanto detto più sopra e cioè che problemi al circuito dei neuroni specchio fanno sì  che  le persone autistiche non partecipino alla vita degli altri e non riescano ad entrare in sintonia con il mondo che li circonda e non capiscano il significato dei gesti e delle azioni altrui, intuibilmente gli stessi problemi potrebbero ingenerarsi nella persona non autistica al capo di strutture umane.

Potrebbe così  parlarsi di leadership “para autistica” come se ne vedono peraltro di frequenti in giro in ogni dove.

Conclusioni : non è possibile allora operare con l’empatia ? Non proprio : il cervello ha delle capacità plastiche cioè di continua rimodulazione sinaptica e nella sua componente più evoluta, almeno per l’essere umano , la neo corteccia, sebbene spessa pochi millimetri, è la sede di funzioni che modula le emozioni e dalle emozioni stesse è alimentata ed “istruita”.

L’apprendimento quindi , l’educazione alle emozioni più che alla ragione , l’esame delle proprie sensazioni , il farsi aiutare anche psicologicamente , la cultura ,  fattori tutti che possono  permettere uno sviluppo dell’empatia ma a patto di volerlo fare e di ammettere , ogni leader , la necessità di questo lavoro sui propri aspetti  emozionali , che laddove trascurati portano non solo a carenze empatiche ma  per di più ad estremizzazioni opposte quali potrebbero essere i disturbi narcisistici di personalità che non equivalgono alle definizioni comuni di persone amanti di se stesse ma esattamente alla mancanza di empatia, tra gli altri sintomi  così come diagnosticati dal DSM V ( Manuale diagnostico e statistico dei disturbi psichiatrici- quinta

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